Headlines
Loading...
Stati Uniti 
Gli Stati Uniti di fronte alla questione migratoria. Se vogliamo libertà e giustizia
L'Osservatore Romano
Chicago. Dall’11 al 13 novembre scorsi si è tenuta a Chicago la conferenza sulla giustizia per gli immigrati promossa dall’episcopato statunitense. Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento inaugurale pronunciato dall’arcivescovo della città ospitante.
(Blase J. Cupich) È ampiamente dimostrato che la diversità portata dall’immigrazione ha arricchito la nostra città, per non parlare dell’intero Paese. Sin dall’inizio Chicago ha attirato immigrati e rifugiati, perché è una città che dà facilmente l’impressione di poter accogliere e far sentire a casa i nuovi arrivati e di rispettare le persone che si assumono il rischio di ricominciare da capo.
Le loro aspirazioni sono sempre state le stesse di tutti noi, ovvero trovare una vita migliore, prendersi cura della propria famiglia, lasciarsi alle spalle la povertà, l’oppressione e la violenza.
Conoscete meglio di me le loro storie e le sfide che devono affrontare. Piuttosto, vorrei semplicemente ricordarvi qual è la posta in gioco, o meglio, perché il vostro sostegno e il vostro impegno per loro è particolarmente importante per la Chiesa, il mondo e la nostra nazione. Papa Francesco è stato inesorabile nel ricordarci qual è la posta in gioco, e lo ha fatto di nuovo in autunno nel suo discorso al Congresso. Ha chiesto ai nostri funzionari eletti di applicare la “regola d’oro” nel rispondere ai meno fortunati che ci chiedono aiuto. «In una parola — ha detto — se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi».
Questi sono tempi difficili per le persone in movimento, quelle in cerca di una vita migliore per i propri figli o quelle che cercano semplicemente di sopravvivere. Tutto ciò pone nella giusta prospettiva il perché il vostro impegno per loro oggi è più che mai necessario. Anzitutto, il vostro sostegno dà speranza. Stando accanto ai migranti, fate loro sapere che non sono soli in questo viaggio. La vostra personale presenza, ma anche la presenza di tutta la Chiesa, che voi rappresentate, è una luce nelle tenebre confuse che caratterizzano la loro vita. Il vostro impegno ricorda loro che ci sono persone che lavorano ogni giorno per investire nella loro vita.
In secondo luogo, il vostro impegno mantiene vivo il tema della migrazione nella pubblica piazza e fornisce il linguaggio e il quadro morale necessari per chiarire le questioni e rispondere alla disinformazione. Indubbiamente le questioni collegate all’immigrazione e alla riforma dell’immigrazione sono molto complesse. Come operatori pastorali che lavorano ogni giorno con famiglie impigliate in un sistema guasto, comprendete che se vogliamo migliorare la situazione l’unico modo per andare avanti è dare al dibattito una struttura morale. Ci sono però valide preoccupazioni economiche, di sicurezza e politiche. Ma, come sapete, quando iniziamo a dare valore alla vita di queste persone, si apre un sentiero che consente alle voci più assennate di prevalere su quel genere di allarmismo che descrive gli immigrati, e perfino i rifugiati che fuggono dal terrorismo, come una minaccia per noi, una minaccia perché forse porteranno via posti di lavoro, o perché provengono da un contesto religioso e da uno stile di vita diversi. Inquadrare il nostro dibattito sulle persone migranti come una questione morale ci aiuta a incoraggiare la popolazione in generale a fare un passo indietro e a vedere la dignità e il valore di queste persone.
Una struttura morale ci fornisce anche il linguaggio per parlare delle sfide umanitarie in un modo che aiuti i cittadini a dare una seconda occhiata al problema. Dalla primavera del 2014 abbiamo visto migliaia di persone — quasi 110.000 bambini non accompagnati e altrettante famiglie — fuggire verso il nostro confine meridionale alla ricerca di protezione contro la violenza nel triangolo settentrionale dell’America centrale — Guatemala, Honduras ed El Salvador — Paesi che hanno tassi di omicidio tra i più alti al mondo. In risposta, il nostro Paese ha applicato una politica di deterrenza contro questa migrazione, caratterizzata dalla detenzione di famiglie negli Stati Uniti e dall’interdizione, sostenuta dagli Stati Uniti, di bambini e famiglie nel sud del Messico e in diverse parti dell’America centrale. Dobbiamo sostituire questa politica di deterrenza con una politica di protezione, sia qui, negli Stati Uniti, sia nella regione. Il fatto che voi raccontiate le minacce alla vita che questi bambini e queste famiglie sono costretti a subire a causa della violenza nella loro patria è importante per il pubblico dibattito. Le loro storie offrono un appoggio sicuro per sostenere l’idea che le persone colpite da interdizione debbano ricevere una vera opportunità di asilo, laddove la situazione dei bambini va valutata sulla base del principio di ciò che è meglio per loro. Tutti i rifugiati devono avere una opportunità vera per raccontare la loro storia a un giudice, assistiti da un consulente legale, e non dovrebbero essere detenuti inutilmente. Occorre porre fine alla detenzione delle famiglie, che traumatizza ancora di più donne e bambini.
La Chiesa e le sue agenzie, tra cui le charities cattoliche e il Catholic Legal Immigrant Network, sono pronte ad aiutare e a collaborare con il Governo nel fornire sostegno materiale e aiuto legale. Invece di esportare risorse di polizia dobbiamo esportare aiuti mirati in particolare allo sviluppo dei giovani e a sistemi di protezione che diano alle persone in fuga la possibilità di trovare un porto sicuro nella regione. Tutto ciò ha conseguenze immense sulla nostra immagine nel mondo. Se non saremo capaci di rispondere alla sfida umanitaria a casa nostra, perderemo la nostra autorevolezza come leader umanitari a livello globale. Il mondo metterà a confronto ciò che diciamo sulla libertà e sulla giustizia con le nostre azioni. Quindi, se vogliamo libertà e giustizia dobbiamo dare libertà e giustizia.
In terzo luogo, il vostro impegno conferisce un volto umano alla questione e la vostra voce è credibile perché conoscete queste persone. Non perorate una causa morale a partire solo dai principi della dignità umana, ma dalla vostra esperienza personale, e questa è una testimonianza molto potente. È ciò che fa Papa Francesco quando legge i segni dei tempi e sottolinea al mondo la nostra responsabilità di prenderci cura delle persone migranti, che stanno fuggendo da situazioni disperate. Nella sua prima visita fuori Roma, a luglio 2013, si è recato sull’isola di Lampedusa, nel Mediterraneo, per richiamare l’attenzione sulla morte dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa via mare, ma ha anche incontrato i rifugiati, volendo essere presente per loro. A partire da quella esperienza, ha denunciato la «globalizzazione dell’indifferenza» nel mondo dinanzi alla piaga dei migranti e dei rifugiati e la «cultura dello scarto» che li usa e poi li getta via.
In quarto luogo, il vostro impegno per il bene comune offre alla nazione un esempio di solidarietà in un tempo di profonda divisione politica. Lo scorso anno ho parlato a un gruppo di leader, spiegando che una riforma comprensiva dell’immigrazione non riguarda solo i diritti degli individui, ma anche il bene delle famiglie, e poiché riguarda il bene delle famiglie, riguarda il bene dei quartieri e delle città. Quello che abbiamo visto negli ultimi anni sono famiglie divise da deportazioni, il che ha indebolito il tessuto sociale della nostra nazione indebolendo le comunità immigranti. La “regola d’oro”, quindi, è molto eloquente in questa situazione; ossia, come ha detto Papa Francesco, se vogliamo opportunità dobbiamo dare opportunità. Queste parole sono una sfida per tutti noi a seguire tale regola, perché sì, è la cosa giusta da fare, ma anche perché costruisce la solidarietà di cui abbiamo bisogno nel Paese. Mettere in pratica la “regola d’oro” sprona altri a fare altrettanto. Allo stesso modo, se non seguiamo questa regola, possiamo stupirci se gli altri ci trattano alla stessa maniera?
Infine, il vostro impegno è un atto di patriottismo e contribuisce al bene della nazione. Certamente la Chiesa sostiene il diritto di una nazione sovrana a controllare i propri confini e ad attuare la legge, ma al tempo stesso riteniamo che tutto ciò debba essere fatto in un modo che promuova la dignità umana e i valori americani. Il vostro impegno a favore degli immigranti mantiene viva l’eredità che è parte dell’identità nazionale. Trascurando gli immigranti, iniziamo a perdere un po’ della nostra anima come nazione. Dinanzi agli avvertimenti fortemente retorici secondo cui alcuni immigrati provenienti da certi contesti religiosi sarebbero una minaccia per il nostro modo di rendere culto e per il nostro stile di vita, serve la vostra voce della ragione per ricordarci che il nostro Paese è stato fondato sul principio della libertà religiosa.
Non dobbiamo mai temere o esitare nel ricordare al popolo americano che gli Stati Uniti sono una terra generosa e che sono stati costruiti dalle mani di immigrati. Nella seconda frase ufficiale pronunciata alla Casa Bianca, su suolo americano, Papa Francesco ha fatto appello alla nostra memoria collettiva come nazione fino al punto di identificarsi con orgoglio con la nostra eredità: «Quale figlio di una famiglia di emigranti, sono lieto di essere ospite in questa Nazione, che in gran parte fu edificata da famiglie simili». Proviamo un orgoglio simile nel parlare ad altri di questa eredità, la nostra eredità di essere identificati con gli immigranti e le loro famiglie che hanno fatto grande, e continuano a fare grande, questo Paese.
L'Osservatore Romano, 20 novembre 2015.