Sole 24 Ore
(Gianfranco Brunelli) Sono atti intollerabili. E sono una bestemmia. Sta in questi due termini, tra loro ben distinti, il senso profondo dell' intervento di Papa Francesco all' Angelus di ieri sulle stragi di Parigi. Rileggiamo integralmente la citazione del papa: «Tanta barbarie ci lascia sgomenti e ci si chiede come possa il cuore dell' uomo ideare e realizzare eventi così orribili, che hanno sconvolto non solo la Francia ma il mondo intero. Dinanzi a tali atti intollerabili, non si può non condannare l' inqualificabile affronto alla dignità della persona umana. Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell' odio non risolve i problemi dell' umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia!». Aveva commosso il tono della voce con cui in una telefonata a TV2000 il Papa aveva reagito immediatamente agli attentati parigini. E aveva impressionato che proprio in questa occasione egli avesse indicato come quegli attentati fossero un «pezzo di una Terza guerra mondiale». Dunque per il papa c' è una guerra in atto a più livelli, in più luoghi, che ha più cause e responsabili, ma il terrorismo islamista ne è una parte; questa situazione non può essere tollerata, dunque va affrontata; la giustificazione teologica della violenza che i terroristi ne fanno («Dio lo vuole!») equivale a una bestemmia. Noi europei abbiamo espunto da tempo il termine guerra dal nostro linguaggio e dal nostro quotidiano, lo abbiamo fatto persino nelle guerre iugoslave degli anni '90, combattute nel cuore dell' Europa, e abbiamo allontanato il Mediterraneo (luogo di interminabili conflitti) dall' immagine dei nostri destini comuni. Ma i fatti di Parigi ce lo ricordano inequivocabilmente: l' islamismo non è che una variabile di questo Mediterraneo comune. Dal XX secolo, la Chiesa esce fermamente convinta che sia la costruzione di un nuovo ordine internazionale, sia l' opposizione a un grave male pubblico debbano essere conseguiti anzitutto con strumenti pacifici, cioè politici e di dialogo. Ma non ha escluso, soprattutto dopo la crisi del Balcani, seppur in una visione sempre più ristretta dello jus ad bellum e dello jus in bello, la possibilità di interventi armati per prevenire, frenare e punire il genocidio, la pulizia etnica e i crimini contro intere popolazioni. Ma questi interventi dovevano essere decisi dall' Onu o, in subordine, da un insieme vasto e plurale di nazioni per ridurre il rischio dell' arbitrarietà della decisione. Pur optando decisamente, anche in situazioni di conflitto, a favore di una lotta per la giustizia con mezzi non violenti, qualora gli sforzi sostenuti per un' azione non violenta non bastassero a proteggere l' innocente contro un' ingiustizia grave, la Chiesa ha riconosciuto alla legittima autorità politica e quale ultima risorsa di impiegare una forza limitata. Si può persino dire, che nel quadro positivo della costruzione della pace, l' unica opzione che sembra esclusa dall' insegnamento della chiesa sembra essere un malinteso "pacifismo" della non resistenza al male. Anzi, proprio la resistenza personale e pubblica al male è proprio l' elemento di maggiore coerenza in una questione che rimane aperta. Su questo c' è piena continuità nell' insegnamento della Chiesa dal Concilio Vaticano II a papa Francesco. Il papa si limita a dire «intollerabile». Non dice come, non dice chi debba intervenire. Ma la libertà, la responsabilità e la saggezza dei governi , non solo occidentali, dal momento che questa eresia islamista colpisce e intende colpire molta parte dello stesso mondo musulmano, sono lo spazio della decisione e dell' affermazione della difesa dei principi di civiltà. L' altro aspetto è la definizione di «bestemmia» che il Papa afferma risolutamente della giustificazione teologica della violenza. C' è piena continuità anche in questo con tutto il magistero della Chiesa, in particolare con Giovanni Paolo II. Ma è una convinzione che nasce dal cuore stesso del Vangelo. Nella teologia cristiana e nella sua grande tradizione, il rifiuto di qualsiasi violenza religiosa è determinato soprattutto dalla contemplazione di Gesù Cristo nella sua passione, che «oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia»" (1Pietro 2, 23). È posta qui correttamente l' idea cristiana del martirio. Il martire si fa carico dell' ingiustizia e la patisce, e non si fa certo esplodere trasformandosi in uno strumento di morte e di violenza da recare ad altri. Anche il cristianesimo ha assunto in qualche passaggio storico e in qualche sua componente la giustificazione religiosa della violenza, ma mai nella sua radice profonda e autentica. La violenza non si giustifica né per rivendicare i diritti di Dio né per convertire o salvare gli uomini loro malgrado. Afferma il Concilio Vaticano II: «La verità non si impone che per la forza della verità stessa» (Dignitatis humanae, n. 1). Il rispetto della libertà religiosa non è dunque giustificato da una forma di relativismo ma deriva da ciò che vi è di più "dogmatico" nell' idea che la fede cristiana offre di Dio. Papa Francesco ha ripetuto più volte che il dialogo tra le religioni dell' umanità, particolarmente tra quelle abramitiche, è una grande sfida posta alla Chiesa cattolica e alla cristianità. A questo dialogo è affidato gran parte del destino della pace. A questo dialogo è affidata la sopravvivenza delle comunità cristiane in molte aree del pianeta. Giovanni Paolo II aveva colto quelle sfide offrendo vie percorribili: dagli incontri interreligiosi di Assisi, alla sua presenza nei luoghi santi di altre religioni, alla difesa della libertà religiosa come scaturigine di ogni libertà. Egli aveva in proposito non solo indicato la differenza tra la fede cristiana e l' interesse politico dell' Occidente, ma aveva affermato la differenza e l' opposizione tra la fede autentica di ciascuna religione e la strumentalizzazione del nome di Dio. Strumentalizzazione che può assumere caratteristiche sociali, politiche, culturali e anche religiose. Francesco ha ripreso fermamente questa sfida propriamente teologica.
(Gianfranco Brunelli) Sono atti intollerabili. E sono una bestemmia. Sta in questi due termini, tra loro ben distinti, il senso profondo dell' intervento di Papa Francesco all' Angelus di ieri sulle stragi di Parigi. Rileggiamo integralmente la citazione del papa: «Tanta barbarie ci lascia sgomenti e ci si chiede come possa il cuore dell' uomo ideare e realizzare eventi così orribili, che hanno sconvolto non solo la Francia ma il mondo intero. Dinanzi a tali atti intollerabili, non si può non condannare l' inqualificabile affronto alla dignità della persona umana. Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell' odio non risolve i problemi dell' umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia!». Aveva commosso il tono della voce con cui in una telefonata a TV2000 il Papa aveva reagito immediatamente agli attentati parigini. E aveva impressionato che proprio in questa occasione egli avesse indicato come quegli attentati fossero un «pezzo di una Terza guerra mondiale». Dunque per il papa c' è una guerra in atto a più livelli, in più luoghi, che ha più cause e responsabili, ma il terrorismo islamista ne è una parte; questa situazione non può essere tollerata, dunque va affrontata; la giustificazione teologica della violenza che i terroristi ne fanno («Dio lo vuole!») equivale a una bestemmia. Noi europei abbiamo espunto da tempo il termine guerra dal nostro linguaggio e dal nostro quotidiano, lo abbiamo fatto persino nelle guerre iugoslave degli anni '90, combattute nel cuore dell' Europa, e abbiamo allontanato il Mediterraneo (luogo di interminabili conflitti) dall' immagine dei nostri destini comuni. Ma i fatti di Parigi ce lo ricordano inequivocabilmente: l' islamismo non è che una variabile di questo Mediterraneo comune. Dal XX secolo, la Chiesa esce fermamente convinta che sia la costruzione di un nuovo ordine internazionale, sia l' opposizione a un grave male pubblico debbano essere conseguiti anzitutto con strumenti pacifici, cioè politici e di dialogo. Ma non ha escluso, soprattutto dopo la crisi del Balcani, seppur in una visione sempre più ristretta dello jus ad bellum e dello jus in bello, la possibilità di interventi armati per prevenire, frenare e punire il genocidio, la pulizia etnica e i crimini contro intere popolazioni. Ma questi interventi dovevano essere decisi dall' Onu o, in subordine, da un insieme vasto e plurale di nazioni per ridurre il rischio dell' arbitrarietà della decisione. Pur optando decisamente, anche in situazioni di conflitto, a favore di una lotta per la giustizia con mezzi non violenti, qualora gli sforzi sostenuti per un' azione non violenta non bastassero a proteggere l' innocente contro un' ingiustizia grave, la Chiesa ha riconosciuto alla legittima autorità politica e quale ultima risorsa di impiegare una forza limitata. Si può persino dire, che nel quadro positivo della costruzione della pace, l' unica opzione che sembra esclusa dall' insegnamento della chiesa sembra essere un malinteso "pacifismo" della non resistenza al male. Anzi, proprio la resistenza personale e pubblica al male è proprio l' elemento di maggiore coerenza in una questione che rimane aperta. Su questo c' è piena continuità nell' insegnamento della Chiesa dal Concilio Vaticano II a papa Francesco. Il papa si limita a dire «intollerabile». Non dice come, non dice chi debba intervenire. Ma la libertà, la responsabilità e la saggezza dei governi , non solo occidentali, dal momento che questa eresia islamista colpisce e intende colpire molta parte dello stesso mondo musulmano, sono lo spazio della decisione e dell' affermazione della difesa dei principi di civiltà. L' altro aspetto è la definizione di «bestemmia» che il Papa afferma risolutamente della giustificazione teologica della violenza. C' è piena continuità anche in questo con tutto il magistero della Chiesa, in particolare con Giovanni Paolo II. Ma è una convinzione che nasce dal cuore stesso del Vangelo. Nella teologia cristiana e nella sua grande tradizione, il rifiuto di qualsiasi violenza religiosa è determinato soprattutto dalla contemplazione di Gesù Cristo nella sua passione, che «oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia»" (1Pietro 2, 23). È posta qui correttamente l' idea cristiana del martirio. Il martire si fa carico dell' ingiustizia e la patisce, e non si fa certo esplodere trasformandosi in uno strumento di morte e di violenza da recare ad altri. Anche il cristianesimo ha assunto in qualche passaggio storico e in qualche sua componente la giustificazione religiosa della violenza, ma mai nella sua radice profonda e autentica. La violenza non si giustifica né per rivendicare i diritti di Dio né per convertire o salvare gli uomini loro malgrado. Afferma il Concilio Vaticano II: «La verità non si impone che per la forza della verità stessa» (Dignitatis humanae, n. 1). Il rispetto della libertà religiosa non è dunque giustificato da una forma di relativismo ma deriva da ciò che vi è di più "dogmatico" nell' idea che la fede cristiana offre di Dio. Papa Francesco ha ripetuto più volte che il dialogo tra le religioni dell' umanità, particolarmente tra quelle abramitiche, è una grande sfida posta alla Chiesa cattolica e alla cristianità. A questo dialogo è affidato gran parte del destino della pace. A questo dialogo è affidata la sopravvivenza delle comunità cristiane in molte aree del pianeta. Giovanni Paolo II aveva colto quelle sfide offrendo vie percorribili: dagli incontri interreligiosi di Assisi, alla sua presenza nei luoghi santi di altre religioni, alla difesa della libertà religiosa come scaturigine di ogni libertà. Egli aveva in proposito non solo indicato la differenza tra la fede cristiana e l' interesse politico dell' Occidente, ma aveva affermato la differenza e l' opposizione tra la fede autentica di ciascuna religione e la strumentalizzazione del nome di Dio. Strumentalizzazione che può assumere caratteristiche sociali, politiche, culturali e anche religiose. Francesco ha ripreso fermamente questa sfida propriamente teologica.