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Il “diario” conciliare di monsignor Pericle Felici

L'Osservatore Romano

In Campidoglio. Pubblichiamo alcuni stralci dal libro di Vincenzo Carbone Il “diario” conciliare di monsignor Pericle Felici (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2015, pagine 589, euro 40) a cura dell’arcivescovo Agostino Marchetto, che ne firma la presentazione. Il libro viene presentato, nel pomeriggio di mercoledì 18 in Campidoglio, durante un incontro presieduto dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato. Intervengono il cardinale Raffaele Farina, archivista e bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa; il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, del cui intervento pubblichiamo alcuni estratti; lo storico Riccardo Burigana, direttore del Centro per l’ecumenismo in Italia, e Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio. L’incontro è coordinato dal vaticanista Paolo Rodari.
Lettera e spirito
Kurt Koch

Il Segretario Generale del Concilio ha il dovere di far sì che siano preparati con coscienziosità i testi che vengono sottoposti al Concilio, sui quali si deve discutere e votare. Per monsignor Felici erano dunque strettamente legati e inseparabili la lettera e lo spirito del Vaticano II. Nel tempo che va dalla conclusione del Concilio fino ai nostri giorni, si è affermato invece un certo dualismo, che opera una distinzione tra la lettera e lo spirito del Concilio; si ricorre allo spirito soprattutto quando i testi non sembrano molto confermare le proprie idee. È chiaro, da un lato, che lettera e spirito non sono la stessa identica cosa. Un Concilio della Chiesa si radica infatti non solo nel passato, ma anche nel futuro, aprendosi così alla storia dei suoi effetti e alla sua recezione. Dall’altro lato, però, là dove si separano lettera e spirito, il cosiddetto spirito del Concilio è considerato come un mero punto di partenza dal quale si fanno progressivamente scaturire, in maniera arbitraria, le proprie idee, che poi vengono ritenute il vero compimento del Concilio. Il diario di monsignor Felici è invece sotteso dallo sforzo, non sempre facile, di tenere uniti la lettera e lo spirito del Concilio, sforzo dal quale si può molto imparare anche per l’odierna recezione e interpretazione del Concilio.
In secondo luogo, il Segretario Generale del Concilio deve tener conto delle varie correnti presenti. Tali correnti esistevano già prima del Concilio e sono state all’opera anche durante. Esse avevano in comune la convinzione che la Chiesa ha sempre bisogno di rinnovamento, soprattutto della sua vita interiore partendo dal fulcro della fede, e che questo continuo e necessario rinnovamento comporta anche l’adeguamento della trasmissione della fede della Chiesa alle condizioni del tempo in cui la Chiesa si trova a vivere, poiché il cristianesimo deve vivere in maniera decisa nell’oggi se vuole essere una forza in grado di forgiare anche il futuro. Ma circa l’attuazione di questa visione del rinnovamento della Chiesa, esistevano due diverse e distinte direzioni. Da un lato, si mirava a un profondo rinnovamento della Chiesa percorrendo il cammino della rivitalizzazione delle fonti della fede, ovvero le Sacre Scritture e i padri della Chiesa, per giungere a un aggiornamento nel senso di un vero dialogo con il mondo moderno. Con il termine programmatico aggiornamento non si intendeva dunque un adeguamento semplicistico e superficiale della fede e della Chiesa alle esigenze del mondo. Piuttosto, al Concilio premeva che, in una situazione profondamente mutata, si annunciasse la fede cristiana in maniera nuova, attualizzandola e interpretandola come qualcosa di vivo e vitale. Il termine aggiornamento era infatti legato a quello di ressourcement, nella convinzione che, soltanto con un ressourcement, l’aggiornamento avrebbe potuto condurre la Chiesa a un rinnovamento davvero intelligente e soprattutto cattolico. Diversamente, l’altra tendenza della riforma, che già durante il Concilio stava guadagnando terreno, perlomeno nell’opinione pubblica, tralasciava il ressourcement patristico e mirava a una riforma della Chiesa tra le Sacre Scritture e l’aggiornamento, evitando il riferimento all’epoca dei padri della Chiesa. Dopo il Concilio, le due correnti si sono tradotte concretamente nella fondazione di due riviste, «Concilium» e «Communio»; ecco il motivo per cui si parla di una «divisione Concilium-Communio».
In questo articolato contesto, è molto interessante leggere il diario di monsignor Felici, per rendersi conto che il Concilio non si poneva un’alternativa dicotomica tra aggiornamento e ressourcement, poiché non intendeva inventare una nuova fede o creare una nuova Chiesa, ma comprendere entrambe in maniera più approfondita per poterle rinnovare. In altre parole: i Papi e i padri del Concilio non volevano una nuova Chiesa in rottura con la tradizione, ma una Chiesa rinnovata nello spirito del messaggio cristiano.
Con ciò, arriviamo alla terza prospettiva, che ritroviamo nel diario di monsignor Felici. Il Segretario Generale deve anche fare in modo che un Concilio si situi nella continuità della Chiesa. Ciò solleva la difficile questione dell’ermeneutica del Concilio. Durante e dopo il Concilio, si è diffusa ampiamente un’ermeneutica della discontinuità e della rottura, la quale parte dal presupposto che i testi conciliari sono il risultato di compromessi e che, poiché non rispecchiano ancora in maniera adeguata il vero “spirito” del Concilio, occorre coraggiosamente scavalcarli per permettere allo “spirito” del Concilio di operare una svolta. Questa ermeneutica, che vede una rottura tra il tempo preconciliare e il tempo postconciliare, è dominante soprattutto nelle correnti progressiste all’interno della Chiesa. Ma si ritrova anche tra i tradizionalisti, che considerano, anch’essi, il Concilio come una rottura con la tradizione della Chiesa e sono convinti che, con il Concilio, sia comparsa una nuova Chiesa, non più identica a quella esistita fino ad allora. Da parte progressista come da parte tradizionalista, in maniera speculare, il Concilio è percepito come una rottura rispetto alla tradizione.
Contro l’ermeneutica della discontinuità e della rottura, soprattutto Benedetto XVI ha sostenuto un’«ermeneutica della riforma», che prende sul serio sia la fedeltà alla tradizione della Chiesa sia la dinamica introdotta dalle promettenti novità del Concilio e fondata nel suo sforzo di ridefinire il rapporto della Chiesa con il mondo moderno. Al Concilio premeva infatti una riforma nel senso di un rinnovamento del soggetto-Chiesa una e unica che mantenesse una fondamentale continuità con la tradizione: la Chiesa «è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino». Poiché, prima e dopo il Concilio, si tratta della stessa Chiesa che è stata rinnovata con il Concilio, esso non può essere inteso né come punto finale della tradizione, né come punto di partenza di qualcosa di totalmente nuovo. Piuttosto, il Vaticano II è, come ogni Concilio, parte di una catena legata alla tradizione e aperta al futuro.
***
Staremo a vedere con il nuovo Papa
25 maggio 1963, sabato
Il Papa sta male, molto male; prevedo che non arriverà alla riapertura del Concilio. Gli ho scritto parole di devozione, di affetto, di augurio. Per mezzo di Mons. Capovilla mi ha risposto così: «Dica a Mons. Felici che gli sono vicino, e che apprezzo tanto il suo lavoro e quello dei suoi collaboratori... Anch’io lavoro per il Concilio, anche e soprattutto adesso». Ora, come mai, oremus pro Pontifice nostro Ioanne.
26 maggio, domenica
Un Monsignore ha detto a Mons. Vallainc che la morte del Papa porterà male a Mons. Felici, perché ritarderà di qualche anno la sua promozione al Cardinalato. Il Signore sa quanto poco io desideri questa promozione! Da questo punto di vista quindi il male non mi verrà. D’altro genere è la mia tribolazione: angustie di spirito, scrupoli, ansietà, che, se anche riesco a dominare con la grazia del Signore, mi fanno tanto soffrire. Offro tutto al Signore per il Papa, la Santa Chiesa, il Concilio Ecumenico. In questo, come in tutto il resto, confido solo nella bontà di Dio, che non inganna nessuno!
31 maggio, venerdì
Quando sembrava che andasse meglio, il Santo Padre ha una nuova, più grave crisi. Chiede e gli danno il Viatico e l’Estrema Unzione. Edificantissimo: o se potessi anche io fare la stessa morte! Passo la serata in piazza S. Pietro con molta folla: il Papa è in agonia!
1° giugno, sabato
Durante la notte, insperatamente, il Papa riacquista la lucidità e conversa con i parenti, dando molta edificazione. Vado a fargli visita alle 10 di mattina e, di nuovo, dopo la conclusione della novena di Pentecoste, la sera: il Santo Padre è assopito, sotto l’azione della morfina (soffre moltissimo, atrocemente quando è sveglio), aiutato nella respirazione dall’ossigeno. Gli bacio la S. Mano.
3 giugno, lunedì
Alle 19 sul sagrato di S. Pietro il Card. Traglia celebra una S. Messa pro Pontifice infirmo. Una folla numerosissima segue nel più assoluto silenzio e con commozione il S. Rito. Il Papa sta morendo. Al termine della Messa, mentre si canta l’inno dell’amore e della carità, Ubi caritas et amor, alle ore 19,49 il Santo Padre va in paradiso. Lo splendore della luce, che subito brilla dalla finestra da cui soleva benedire e parlare, è indicazione dello splendore dell’anima sua che sale al cielo. Molti si inginocchiano: Una scena commoventissima!
4 giugno, martedì
Faccio visita alla Salma del Santo Padre esposta nel salone dell’appartamento privato. Nel pomeriggio, con il Capitolo ricevo la Salma del Santo Padre nella Basilica. Imparto l’assoluzione. Mi raccomando già a Papa Giovanni, come a un Santo!
6 giugno, giovedì
Alle ore 18 officio le esequie per la tumulazione della Salma del Santo Padre.
7 giugno, venerdì
Alle 10 celebro pontificalmente il primo dei novendiali. Dopo la S. Messa mi reco a far visita alla tomba di Giovanni XXIII e mi raccomando a lui.
8 giugno, sabato
L’attesa del nuovo Papa non mi turba affatto: chiunque egli sia, benedictus qui venit in nomine Domini. Ed io farò quel che egli dirà di fare: Nihil sine Episcopo Romano!
10 giugno, lunedì
È venuto a farmi visita il Card. Dopfner. Si è parlato molto del Concilio. Ho notato nell’Em.mo qualche preoccupazione per l’avvenire. E ciò è naturale, avendo fino ad ora i Cardinali esteri avuto un peso non piccolo nei lavori del Concilio. Gli espongo alcune idee; è d’accordo con me. Comunque staremo a vedere con il nuovo Papa.
11 giugno, martedì
È venuto oggi a farmi visita l’Em.m Card. Spellman; mi ha portato un libro di suggerimenti dell’Episcopato americano per il nuovo Codice. Mi ha poi detto che non credeva di trovare a Roma un’opposizione «così atroce» alla candidatura del Card. Montini.
15 giugno, sabato
È il primo dei novendiali Cardinalizi.
17 giugno, lunedì
Ultimo giorno dei novendiali con l’elogio del Papa defunto, detto da Mons. Giuseppe Del Ton: un po’ retorico e un po’ enfatico, ma bello e sentito.
19 giugno, mercoledì
Messa dello Spirito Santo pro eligendo Summo Pontifice. Pontifica il Card. Tisserant. L’orazione finale, detta da Mons. Tondini, non è felice; mette troppo in evidenza le critiche degli ambienti curiali sul trascorso pontificato. Certamente provocherà reazione in molti Cardinali esteri e influirà sul Conclave. Conoscendo la stima, di cui gode il Card. Montini presso i Cardinali esteri, e la campagna che fa in suo favore il Card. Micara, sono ormai sicuro della sua elezione; il discorso detto da Mons. Tondini (con voce chiara, ma piatta e fredda) contribuirà anch’esso ex adverso.
20 giugno, giovedì
Le due fumate sono nere: era da aspettarselo.
21 giugno, venerdì
Poco dopo le 11, fumata bianca. È eletto Papa il Card. Montini. Si è posto il nome di Paolo VI. Ne ha dato l’annunzio il Card. Ottaviani. Deus ludit in orbe terrarum! Prima benedizione del nuovo Papa.
28 giugno, venerdì
Alle 20 mi trovo in S. Pietro, per ricevere con il Card. Marella il nuovo Papa, che viene a benedire i Sacri Palli. Mentre gli bacio la mano, mi dice che vuole vedermi. Chiederò udienza.
30 giugno, domenica
Alle 18 solenne incoronazione del Papa.
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Testo di Pericle Felici
Che non duri più di due mesi

30 aprile 1960, sabato
Sulla tarda mattinata vado dal Cardinale. La sera dal Santo Padre: ha appena terminato di incidere il messaggio per i lavoratori, che sarà trasmesso domani, primo maggio, alle ore 10.11. Nello studio del Santo Padre, al II piano, sono S.E. Mons. Dell’Acqua, il Comm. Lolli, il fotografo Felici e qualche tecnico. Sono le 18,30 quando entro nella biblioteca del Santo Padre, presentato da Mons. Capovilla. Bacio la mano al Santo Padre e sono poi da lui invitato a salire al III PIANO ove sono tutte le carte.
Con l’ascensore andiamo al III piano nell’appartamento privato del Santo Padre. Mons. Capovilla si congeda, augurando buon lavoro. Il Santo Padre mi invita a sedere con lui alla scrivania del B. Gregorio Barbarigo; è quella ormai destinata ai lavori del Concilio. Riferisco al Santo Padre sul progetto di iniziare la seconda fase della preparazione del Concilio con un atto solenne del Papa, cioè con un Motu proprio. Il Santo Padre annuisce. Ed allora gli leggo lo schema di Motu proprio concordato con Sua Eminenza. Il Santo Padre segue attentamente, sottolineando spesso le espressioni, che si susseguono, con la sua augusta approvazione. Fa alcune osservazioni di cui io prendo nota per una fedele esecuzione. Il Motu proprio è di sua soddisfazione e pensa che potrebbe essere pubblicato l’8 maggio prossimo, giorno sacro a Maria e a S. Michele, nel quale Egli conferirà la consacrazione episcopale a 14 Vescovi Missionari, di tutte le parti del mondo. Comunico anche al Santo Padre i nomi degli Eminentissimi a cui si sarebbe pensato per la presidenza delle Commissioni di studio e per la Commissione Centrale. È contento. Ripete ancora che il Segretario Generale della Commissione Centrale dovrò essere io: «Questo ormai va da sé!» mi dice. Ringrazio, ma nulla domando sulla vera figura del Segretario Generale. È cosa che riguarda me; non devo quindi anticipare in nessun modo quel che stabiliranno i Superiori. Comunque mi cucineranno, sarò contento; avrò così maggiori garanzie di compiere la volontà di Dio. Ed in questa grande impresa, stare nel posto dove vuole Dio, è di fondamentale importanza. Il Santo Padre pensa che il Concilio dovrà particolarmente concertare nella preparazione. Occorre oculatezza e attenzione. La celebrazione del Concilio dovrà durare non più di due mesi. E questo sarà possibile se la preparazione sarà accurata. Prometto che faremo del nostro meglio. Mi parla poi di affari molto riservati, che non è qui il caso di riferire, neppure per accenni. Ricorda ancora la vicenda del Card. Alfrink e parla con poco favore del modo drastico seguito dal S. Offizio. La vicenda ha avuto felice conclusione mercé l’opera persuasiva del Card. Tardini (me lo aveva detto anche l’Eminentissimo) e la grande comprensiva bontà del Santo Padre. Il Santo Padre si compiace di domandarmi un consiglio sulla sistemazione di S.E. Mons. Ronca. Vorrebbe metterlo in un ufficio ispettivo per la costruzione delle Chiese in Roma.
Parlo con molto favore di Sua Eccellenza, richiamando anche il modo troppo severo con cui è stato trattato a Pompei. Dico: in un ufficio ispettivo sì; ma nelle imprese non crederei: l’esperienza trascorsa lo dissuaderebbe. Il Santo Padre è dello stesso parere, ma non sa come persuadere i Superiori del Vicariato. A proposito del Vicariato, comprendo che sta aspettando che qualcuno si decida. Non sembra abbia fretta, come ordinariamente non ha fretta Dio benedetto. Nel discorso viene il ricordo del Card. Siri: il Santo Padre non ne sembra entusiasta; parla con reticenza. Ho l’impressione che non gli piaccia la sua tendenza verso gli imprenditori. Staremo a vedere. Durante l’udienza, su Roma piove e dalle fessure delle grandi finestre, da cui si domina Roma, penetra una corrente gelida un po’ fastidiosa, ma il Santo Padre non si scompone; sembra non accorgersene.
Alle ore 20 viene Mons. Capovilla ad avvisare il Santo Padre che la cena è pronta. Bacio la sua mano e chiedo una particolare benedizione. Me la concede abbondantissima, aggiungendo: «Coraggio!». Poi mentre sto sulla porta, osserva: «Vede, Monsignore, come è ridotto il Papa; ora le direi volentieri di rimanere a cena con me, ma il Papa deve stare solo. Pazienza!». Ringrazio il Santo Padre della grande bontà.
L'Osservatore Romano, 19 novembre 2015.